A che serve sognare

Abbiamo bisogno dei sogni, e non solo di farli vivere, ma di vivere mettendoci tutta la nostra anima per vederli realizzare. Concludo l’ultimo libro di Luigi Garlando, L’album dei sogni, con l’entusiasmo di chi ha appena assorbito una di quelle lezioni che solo i vecchi racconti sanno dare. Di quelli che ascolti seduto per terra totalmente assorbito da chi te le racconta, un po’ a puntate, che non vedi l’ora di conoscere ogni dettaglio e al tempo stesso vuoi gustarne ciascuno lentamente.

Ho recensito altri libri di Luigi Garlando (potete trovare alcuni vecchi link qui o qui): li ho amati tutti, ma L’album dei sogni mi ha totalmente rapito! Credo che sia un libro dove Garlando si sia superato in termini di qualità narrativa. Ha sempre avuto la capacità di trasportarti all’interno delle sue storie, ma in particolare in questo ultimo libro ha dato prova di quanto abile sia col suo realismo narrativo.

I protagonisti del nuovo romanzo sono quattro fratelli, che in realtà tutti conosciamo indirettamente perché il loro nome ha fatto un po’ parte dell’infanzia di tutti noi. Si tratta infatti di Giuseppe, Benito, Umberto e Franco, nonché i fratelli Panini, proprio quelli delle figurine! Con un vero e proprio tuffo nel passato, Luigi Garlando ripercorre le tappe della storia dei quattro fratelli, dall’infanzia all’apice della loro carriera, come se avesse vissuto a sua volta quei momenti, che non manca di narrare con dettagli e sfumature vivissimi.

Origini

Tutto comincia dal ricordo della gioventù dei genitori Antonio ed Olga, gli anni della guerra e dei sacrifici, l’amore tenero che sapeva sopportare la distanza. “Vivo solo per te, sogno solo te”, il romantico scambio che diverrà promessa eterna. Sono pagine da leggere a bocca aperta, vive.  Ricche di ricordi di un’epoca che sentiamo solitamente raccontare dai nostri nonni. Quando tutto andava bene nonostante non fosse sempre tutto rose e fiori, c’era poco da mangiare e per tanti doveva bastare. Le avremmo sentite mille volte, eppure sono storie che hanno sempre una certa anima!

Quindi ecco l’anima della storia della famiglia Panini. Fra difficoltà, un po’ di miseria e tempi duri, i valori trasmessi agli otto figli (oltre ai quattro fratelli Olga e Antonio hanno avuto anche quattro figlie) sono decisivi. A loro Antonio insegna da subito ad essere padroni di loro stessi, mentre Olga li alleva con risolutezza. Colei a cui non mancano momenti di debolezza e insicurezza, saprà sempre rimboccarsi le maniche per il bene dei suoi figli e della famiglia, anche quando le toccherà rimanere vedova, troppo presto. Come recita il retro del libro:

Olga Cuoghi in Panini, la Casarèina, la colla di una famiglia intera, la figurina più preziosa dell’album dei sogni.

Perché mi è piaciuto

Con L’album dei sogni Luigi Garlando ci restituisce una memoria storica, un pezzo di quella Italia che sapeva sognare e rendere vivi i sogni. I fratelli Panini sono protagonisti di un’epoca in cui il cambiamento e la voglia di far bene infuocava gli animi. La brama senza dubbio di progresso, di guardare al futuro, lasciandosi alle spalle i duri anni della crisi e della guerra. Diventano celebri le riunioni al Colombarone, dove con un bicchiere di Lambrusco e uno gnocco fritto, si faceva gruppo, ci si scambiava idee, si discutevano le difficoltà. Il modo di essere imprenditori dei fratelli Panini era sano e all’avanguardia. Ogni lavoratore era un po’ parte della famiglia, ciascuno contava e i diritti erano tutelati e garantiti per tutti.

C’è poi quella storia ricostruita fra i ricordi, raccontata con tale trasporto e realismo, che come vi ho già accennato si ascolta assorbiti da ogni dettaglio. Quando ad esempio si legge di Umberto che vola nella tanto sognata America, è come partire un po’ con lui. Si rivivono le vicende come se ne si fosse fatto parte, poiché lo stesso Garlando ti trasmette questa sensazione.

E’ infine un libro che, coerente con lo stile dell’autore, infonde un profondo messaggio di serena positività. Mi rendo conto di essermi commosso più volte mentre scrivevo questo articolo, ripensando all’energia che mi ha trasmesso. Leggerlo in questi tempi difficili e critici è come un inno alla resilienza, una sventolata di freschezza in un momento dove siamo tutti, soprattutto mentalmente, stanchi. Un momento dove al tempo stesso non bisogna smettere di sognare e investire nel proprio futuro con tutte le forze. Molti parlano dei “bei tempi andati”, ma se i bei tempi potessero ancora di nuovo venire? Abbiamo così tanto bisogno di stimoli ed esempi positivi da seguire, che fanno tanto bene e che non serve andare tanto lontano per trovarli. Può un libro cambiare il mondo? No, ma può cambiare un punto di vista, renderlo contagioso, aprire la mente.

Il vino

Quando dietro ad ogni singola bottiglia c’è anche una storia, è come se assaggiare quel vino la faccia un po’ rivivere. Il libro di Garlando mi ha ispirato un recente assaggio, il vino Altabella di cantine Fontezoppa. Parliamo di una Ribona in purezza, un vitigno molto caro all’azienda marchigiana, fra le migliori a valorizzarla. Ho avuto modo di assaggiare la loro Ribona diverse volte (ve ne parlavo anche in un vecchio articolo), apprezzandone sempre l’alta qualità. Con Altabella Fontezoppa ha deciso di donare un nuovo “vestito” a questa etichetta, ma soprattutto di continuare a spingere sulla valorizzazione di questo vitigno locale.

Quello che stupisce di Altabella è l’incredibile complessità che, degustata l’annata 2021, non ti aspetti da un vino così giovane, che per di più non tocca il legno. Se ne apprezza l’intensa finezza olfattiva, che è un vero e proprio viaggio nell’articolato territorio marchigiano. Arrivano infatti squisiti sentori di agrumi -cedro e bergamotto-, sfumature di cera d’api, note vegetali, che quasi richiamano un po’ all’entroterra. E poi si arriva al mare: note iodate, sfumature salmastre, mineralità. Un sorso sapido, dalla chiusura lievemente ammandorlata e secca. Si ha la netta impressione che sia davvero un vino che possa sfidare il tempo regalando emozioni anche a distanza di anni.

Questo vino è stato dedicato ad Altabella Burini, ovvero l’ultima pescivendola del paesino, vera icona dall’anima marinara. Fino a pochi anni prima di morire, Altabella si presentava con costanza davanti alle Poste in centro, col suo carrettino, fermando chiunque dicendo “permette una parola?” e cercando di vendere i suoi sacchettini di pesce. Un lavoro portato avanti per una vita, cominciato sin da piccola, un lavoro fatto di sacrifici e impegno. Aveva partecipato anche alla “protesta dei carretti”, nell’epoca in cui si fecero più rigide le regole e vendere il pesce con quelle modalità non venne più consentito.

Come si fa a scegliere un vino come Altabella senza farsi raccontare questa storia? Come per L’album dei sogni, anche con Altabella si torna un po’ indietro nei ricordi e ci si immerge nella storia di questa pescivendola. Quanto è bello, soprattutto, quando dietro a una bottiglia di vino c’è anche qualcosa di più da raccontare? A ricordarci quanto prezioso e sottile sia il legame con le nostre storie e tradizioni.

Ringrazio di cuore l’autore Luigi Garlando e cantine Fontezoppa per avermi dato lo spunto per queste riflessioni.

Alla prossima!